TEMPO DI CAMBIARE.

”Technology is just a tool. In terms of getting the kids working together and motivating them, the teacher is the most important.” ~ Bill Gates                         La tecnologia è solo uno strumento. Al fine di fare collaborare e motivare i ragazzi, il docente è più importante”

Durante i due seminari frequentati ad Harvard, ma già durante lo scorso anno scolastico, ho iniziato a capire come potevo cambiare il mio modo di insegnare. Una rivelazione: non è la tecnologia in se stessa che conta, quanto il modo di apprendere. Ultimamente ho seguito sulla stampa nazionale i vari tentativi del Governo di far passare decreti a favore dei libri in formato digitale o finanziamenti per le Lim e l’acquisto di iPad. Come sempre in Italia mi sembra si costruiscano i grattacieli senza pensare alle fondamenta. E la formazione dei docenti quando e come? Dopo. Io ritengo invece che non si tratti di comperare nuove Lim o nuovi computer o nuove app dagli “effetti speciali”, non è così che si cambia e si migliora la nostra scuola. Da un po’ sento  che le cose dovrebbero essere diverse e cerco  stimoli e motivazioni quotidiane: tante letture, scambi coi vari contatti nei network (PLN Personal Learning Network) corsi on line e negli Usa. L’ultima cosa che voglio è sbagliare nell’iniziare a provare e sperimentare qualcosa di nuovo senza esserne completamente preparata, competente e sicura. Tuttavia anche se ho un po’ paura, così non posso andare avanti; il mondo avanza e talvolta mi sembra di essere ancorata a vecchi schemi che i ragazzi sentono lontani, noiosi e, diciamolo, sorpassati.

Da molti anni incorporo la tecnologia nelle mie lezioni, tanto che per essere una docente di materie umanistiche, i ragazzi mi definiscono tecnologica. Uso da anni il Blog per le abilità di lettura e scrittura, così gli studenti finalmente hanno uno scopo per scrivere (tutto è trasparente e condivisibile e non solo finalizzato al voto della prof.) e quando mi è concesso uso la Lim per le attività integrate al testo in adozione, per mostrare video di materiali autentici e rilevanti su argomenti di attualità scelti dagli studenti. Non la uso certo in tutte le sue potenzialità ma questo argomento richiederebbe un discorso a parte.

Bene, viviamo in un mondo connesso 24 ore su 24 dunque perchè proibire aglistudenti di usare cellulari e tecnologie che usano comunque da quando sono nati? E’ come se quando entrano in classe si chiedesse loro di spegnere parte del loro cervello. Ho le idee molto chiare oggi: io voglio una classe esente da stress, non fondata sui ricatti ma dove gli studenti sappiano affrontare i rischi e non abbiano paura di sbagliare. Vorrei iniziare il nuovo anno aperta a scoprire i talenti nascosti in ogni ragazzo/a facendo in modo che possano potenziare e sviluppare le loro passioni e i loro talenti. Passione: questo voglio dalla scuola. Eppure quando ne parlo sembra sempre una parola che non si addice  al pianeta Scuola. Ho letto un articolo interessante non ricordo dove di Sheryl Nussbaum-Beach, teorica del passion-based learning, l’apprendimento basato sulla passione e mi ero appuntata nelle mie note quanto scriveva e cioè che tale tipo di didattica “basata su ciò che gli studenti vogliono fare e non ciò di cui hanno bisogno può sembrare una pazzia, come se l’apprendimento diventasse fuori controllo”. In realtà credo che ritrovare quel senso di meraviglia nello scoprire il piacere di imparare qualcosa di nuovo che ci interessa sia il segreto per coinvolgere questa generazione. Non voglio vedere studenti annoiati. Forse mi diranno che non funzionerà, che gli studenti hanno bisogno che si dica sempre loro cosa fare, cosa dire e cosa pensare. Beh, io non sono d’accordo.
Così ho deciso di dedicare parte delle mie vacanze estive ad aggiornarmi in un contesto  all’avanguardia, per vedere come realmente insegnano in scuole dove la tecnologia è considerata un mezzo, come per noi il quaderno e la penna, e non un fine. Imparare a “usare” nuove tecniche e strategie per coinvolgere i ragazzi è stato per me come viaggiare nel futuro. Non vedo l’ora di poter applicare alcune delle cose apprese! Ma soprattutto la mia esperienza ha cambiato definitivamente la mia filosofia didattica. Voglio una classe dove gli studenti non siano recettori passivi ma siano protagonisti responsabili del loro processo di apprendimento. Non voglio passare le mie preziose 3 ore settimanali a fare “memorizzare” fatti e regole per poi sentirle “rigurgitare” nei test conscia che in breve tempo verranno dimenticate. Ho bisogno invece di coltivare la curiosità e l’entusiasmo per la conoscenza. So che qualcuno qui sorriderà. Idealista? No, sono realista: so che i ragazzi non saranno affamati di conoscenze e argomenti per i quali nutrono interesse pari a … zero.

Ora mi si pongono due scelte: 1) continuare sulla strada sicura e la routine consolidata, senza rischi;  2) provare nuove strade non battute e magari fallimentari. Vorrei riuscire a integrare la tradizione con l’innovazione tecnologica. Ecco perchè scelgo una classe centrata sullo studente e non sul docente, una classe tecnologica ma basata su un approccio umanistico allo stesso tempo.

Perché? Gli studenti del 2013 chiedono una pedagogia ed un insegnamento che li spinga a pensare in modo critico, a risolvere problemi, ad apprendere abilità di collaborazione piuttosto che memorizzare e dimenticare dati utili soltanto per l’esame. Hanno bisogno di risposte complesse non necessariamente “giuste”. Come abbiamo visto in uno dei tanti video, le 10 professioni top di quest’anno non esistevano nemmeno qualche anno fa e nel futuro i ragazzi faranno lavori che oggi non esistono. Come posso prepararli a questo? Appropriarsi del contenuto oggi è facile, alla portata di tutti, basta digitare su Google una parola. Devo invece insegnare a questi ragazzi ad impossessarsi dei contenuti, selezionarli, manipolarli e cambiarli per crearne di nuovi. Un apprendimento attivo e  collaborativo in sintesi, nel rispetto dei diversi stili di apprendimento. 

Il sistema educativo italiano è troppo spesso basato sul prof che parla. Io stessa da anni ho smesso di credere nella sua validità. Quando vado alle conferenze dove un docente si parla addosso per ore provo fastidio e dopo un po’ mi disconnetto. Non a caso le conferenze di Ted durano max. 20 m’ con relatori pieni di humour e uso di supporti visivi. Ad Harvard non ho avuto tempo di annoiarmi nemmeno un secondo!  Nel sistema basato sulla lezione frontale, quello per intenderci che usavano i miei prof tanti anni fa, il prof “dissemina” le sue conoscenze e i ragazzi memorizzano ma non condividono le loro scoperte e conoscenze. Basta guardare le nostre classi: la lavagna (o anche la LIM), la cattedra posizionata davanti ai banchi, magari col PC e registro elettronico a solo uso del docente e i banchi degli studenti rivolti verso di esso. Questo chiaramente scoraggia l’interazione tra studenti, la cooperazione e la “comunicazione” per noi docenti di lingua straniera che vorremmo invece privilegiarla.  Per 5 ore al giorno i ragazzi siedono e ascoltano. Ho cercato di sottrarmi a questo modello ma non è sempre facile e il layout dell’aula lo impedisce. Spesso mi arrendo e … parlo. Quest’anno vorrei con tutto il cuore che fosse diverso. Ho fatto richiesta di un’aula materia dove poter disporre i banchi ad isole per facilitare la conversazione e il lavoro di gruppo. Vorrei i ragazzi si guardassero negli occhi e non nella schiena quando parlano. E vorrei renderlo un ambiente personalizzato 🙂

A questo punto mi si dirà: e i programmi dipartimentali e i libri di testo? Altro problema. Spesso li vivo, come gli studenti d’altro canto, come una limitazione, come dei binari predeterminati da cui non c’è scampo. E qualora ci si trovi “indietro” rispetto alla programmazione – anche se magari si sono dedicate ore a letture di autori contemporanei, articoli di attualità, lavori di gruppo – … ci si sente maledettamente in colpa, come se si avesse fallito il proprio ruolo di insegnante. Ai ragazzi ciò non succede e anzi apprezzano tutte le diversioni dal sentiero predefinito! Mi piacerebbe, e lo coltivo come un sogno, crearmi il “mio libro di testoil mio eBook e anche l’e-book come porfolio dei lavori di scrittura creativa dei ragazzi. Potrei anche creare un Wiki, ne ho visti di bellissimi, che è più interattivo ancora del blog e anche dei blog degli studenti, non solo quello fatto da me. Così si amplierebbe la scrittura come “commento” alla scrittura come “creazione” di nuovi contenuti. Vorrei poter usare le immagini scelte da loro, le loro voci, e seguire i loro reali bisogni e interessi. Non solo la mia voce ma la nostra.

Credo davvero sia importante lavorare in un ambiente “connected”, connesso, perchè sperimento ogni giorno su me stessa e in special modo a seguito di questi fantastici seminari, che l’apprendimento avviene solo in minima parte nella classe ma continua a casa, nel mondo grazie ad Internet. Non è un caso che gli studenti ogni giorno si aiutino nei compiti in chat o con gruppi su Facebook; ciò non è sbagliato, non è copiare ma, “se gestito nel modo giusto” – e qui subentrano le competenze tecnologiche e la guida del docente – è un efficace modo di collaborare e imparare in modo interattivo e personalizzato. Magari riuscirò a collaborare con studenti di colleghi d’oltreoceano, con cui collegarsi con Skype. Why not? Sarà una sfida non facile ma poichè ci credo in modo così forte e profondo, sono anche preparata ai fallimenti. E’ sbagliando che si impara!

In conclusione, l’entusiasmo è tanto e tutti i miei sforzi saranno diretti a fare sì che la tecnologia sia al servizio della classe (studenti, docente ma anche genitori) al fine di “migliorare” la nostra vita educativa e scolastica non complicarla, di approfondire nuovi contenuti non semplificarli per essere al pari coi tempi e non restare indietro (Digital Divide). Una classe web2.0 non è questione di testi trasformati in Pdf, acquisti di iPad, app con effetti speciali o Lim usate come proiettori da prof che parla. E’ invece dedicarsi a dare agli studenti il tempo per la creazione e la riflessione, ripensando l’intero modo di fare lezione. Vorrei provarci.

Concludo con le parole dell’educatore afro americano Booker T. Washington che 100 anni fa scrisse: “I have learned that success is to be measured not so much by the position that one has reached in life as by the obstacles overcome while trying to succeed.” “Ho imparato che il successo non va misurato tanto dalla posizione che uno ha acquisito in vita ma dagli ostacoli che ha dovuto superare per riuscirci.” Superare questi ostacoli e superare questa sfida svilupperà lo spirito d’iniziativa nei ragazzi e in me stessa.

cimy

2 thoughts on “TEMPO DI CAMBIARE.

  1. Non si avvilisca, cara Prof., se il Grigoletti è ancora arretrato dal punto di vista tecnologico. Infatti, ripensando alle belle lezioni che Lei ha saputo condurre nei quattro anni passati insieme, credo di aver tratto più di tutto a livello linguistico, culturale ed umano dalle attività di gruppo svolte in classe. Sono infatti sempre più convinta che le ore di inglese a scuola dovrebbero essere dedicate al rafforzamento dello speaking dal momento che reading, listening e writing possono essere migliorate a casa autonomamente, anche con l’aiuto di tutti i mezzi tecnologici che lì generalmente funzionano. A scuola si ha l’opportunità unica di poter interloquire in inglese tra ragazzi su argomenti svariati potendo così non solo migliorare le abilità di speaking che risulteranno utili per il conseguimento di certificazioni linguistiche, ma soprattutto per arricchirsi grazie al confronto con gli altri. Per realizzare questo proposito, penso sia geniale l’idea delle flipped classrooms. A casa, di pomeriggio, si può studiare grammatica, vocabulary o letteratura sui libri di testo, ma anche grazie a video come quelli di TED o ad altri supporti multimediali, garantendo in questo modo ad ognuno i propri tempi e modalità di apprendimento e potenziando così le abilità di listening e reading. La mattina dopo si può così discutere in classe sulle nozioni apprese a casa, focalizzandosi sullo speaking, magari in attività di gruppo che risultano a mio avviso più divertenti per gli studenti. E’ ovvio che questo tipo di insegnamento in cui il docente si inserisce di volta in volta nei gruppi di studenti stimolando, arricchendo, guidando il dialogo a seconda delle caratteristiche del gruppo in questione, richiede maturità da parte degli allievi. Questi infatti dovrebbero lavorare a casa responsabilmente nonché in maniera autonoma e a scuola sfruttare l’opportunità del lavoro di gruppo anche se ovviamente non “controllati” durante tutto il corso dell’ora. Penso tuttavia che per i ragazzi, costretti per le altre quattro ore della mattinata a seguire in silenzio le lezioni delle varie materie, la possibilità di discutere tra loro sia stimolo costruttivo, anche per i meno invogliati. E’ altrettanto vero che tutto ciò richiede uno sforzo maggiore da parte dell’insegnante nello scegliere materiali su cui i ragazzi possano studiare a casa e nel gestire e integrare le discussioni a scuola ma, avendolo sperimentato personalmente grazie a Lei, posso dire che sia il miglior investimento di energie per gli studenti. Sono infine sicura che le Sue capacità e il Suo entusiasmo nell’insegnamento, in qualunque modo sia esso realizzato, daranno i loro frutti anche con una limitata possibilità di utilizzo delle tecnologie nell’ambiente scolastico.

    • cara Sofia, GRAZIE! La tua risposta acquisisce un valore speciale poichè scritta da una ex-alunna, “eccellenza” del nostro Liceo, competente nel metodo di studio,con ottimo senso critico e livello d’inglese certificato come avanzato. Se questo è il tuo pensiero userò sabato il tuo commento in classe e mi metto ora a lavorare con ancora maggiore fiducia in me stessa e nella valenza delle mie scelte. A real boost to my work! I missed you 🙂

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